Il Vetro - custode di tesori inabissati

Ci piaceva riportare una curiosa storia in cui le bottiglie sono protagoniste. Riguarda il ritrovamento di un tesoro sommerso al largo delle acque finlandesi: il più “vecchio” champagne del mondo, sapientemente custodito dal  vetro nelle profondità degli abissi. Ma riavvolgiamo il nastro per ricostruire le tappe di questa scoperta.

Estate 2010. Christian Ekström, giovane guida turistica, decide di organizzare una immersione con degli amici attorno alle isole che  compongono l'arcipelago di Åland, all'ingresso del golfo di Botnia, tra la Svezia e la Finlandia. 

Quell'insidioso tratto di mare è noto per le centinaia di navi affondate. Trovano a cinquanta metri di profondità una nave di cui avevano sentito parlare dagli isolani. Si tratta di un “brigantino” affondato in quelle acque nel 1842. Il nome sulla chiglia è cancellato, ma 168 bottiglie, coperte di alghe e crostacei, stanno lì a fissarli. Christian risale in superficie con una bottiglia, poi la stappa, convinto di trovarvi solo acqua salata. A investirlo, invece, un sapore dolciastro, di pesca e albicocca. Contatta subito l'archeologo subacqueo Magnus Lindholm, poi l'amica sommelier Ella Grüssner Cromwell-Morgan. Ella è colpita dall'intensità del vino, sorpresa dalla solida presenza delle bollicine e dal deciso dosaggio zuccherino. Dominique Demarville disse che il tappo apparteneva alla vecchia Juglar. Nonostante questo, propone all'azienda di finanziare il ripescaggio delle bottiglie rimaste in fondo al mare, con la speranza che tra loro se ne trovassero a marchio Veuve.

La Veuve Clicquot, all'inizio dell'Ottocento, era il più importante fornitore di Champagne dell'Impero russo. Se erano almeno 400.000 le bottiglie che ogni anno sbarcavano al porto di San Pietroburgo, la probabilità di trovarne almeno una con il marchio della maison era alta. Dopo la ricerca, la sorpresa: il marchio c'è davvero, impresso a fuoco. Sul tappo campeggia anche una stella, un omaggio alla cometa che attraversò la regione francese nel 1811, un'annata considerata straordinaria.

Le 168 bottiglie recuperate, intanto, pare fossero state assaggiate e accuratamente ritappate dall'esperto Richard Juhlin. Non tutte, a suo dire, erano bevibili, eppure, nonostante i livelli più elevati di acido acetico prevedibili considerate le tecniche di vinificazione dell'epoca molte lo erano ancora.  Juhlin aveva descritto i Juglar come "più intensi, potenti, e con odori di sottobosco", mentre i Clicquot, a maggior presenza di chardonnay, ricordavano al naso "i fiori di tiglio e la scorza di lime". Il tempo, comunque, era stato più clemente con i secondi, probabilmente - ipotizza Juhlin - per la qualità superiore dei tappi. Le cifre sembrano dargli ragione: nel giugno del  2011, durante un'asta organizzata dal  governo della Finlandia a Mariehamn, sull'isola di Fasta Åland, una bottiglia di Veuve Clicquot fu venduta per 30.000 euro; la concorrente, invece, per "soli" 24.000. Niente KO, insomma, ma una vittoria ai punti. 

I tappi, aggiungevano gli esperti, non erano imbrigliati dalla gabbietta metallica con capsula ma dal tradizionale spago. La capsula - ironia della sorte fu perfezionata da un antenato dei Jacquesson nel 1844 e diffusa solo qualche anno dopo. 

A prendersi cura dei vini per quasi 170 anni è stato quindi il vetro: materiale prezioso come un tesoro in fondo al mare.